• Leggende di Montefegatesi

    Posted on Giugno 8, 2012 by in Montefegatesi

     

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    PASQUA DI SANGUE – LO SCONTRO CON I LONGOBARDI

    ” Col di Lombardo o cuor di lombardo? ”

    Tempi cruenti per la tenuta dei confini e per la sopravvivenza.

    Eravamo a primavera: i lavori campestri erano anticipati, alle vigne il grano marzuolo e la scandella erano nati e i campi verdeggiavano. Il popolo ora si preparava per festeggiare la Pasqua. Dopo giorni di penitenza le campane fecere udire il loro suono a festa annunciando la simbolica risurrezione di Gesù Crocifisso. Quel suono porto allegria nei cuori dei fedeli, ma la generale euforia durò poco, perchè inaspettatamente arrivò un messagero da Limano per chiedere aiuto perchè una banda lombarda aveva assalito il paese per saccheggiarlo, che s’era difeso accanitamente respingendola, ma ora s’aggirava nei dintorni del paese e i limanesi non erano sicuri di respingere una seconda volta da soli , per questo l’avevano mandato per chiedere aiuto per potersene disfare definitivamente.

    Quell’anno era capitano del popolo a Montefegatesi un valoroso uomo di cuui la tradizione non ci ha conservato il nome, uomo onesto e di pochi discorsi che udita la richiesta del paese e riconosciutà la urgente necessità,consultò gli anziani del paese poi fece suonare la campana a martello, a questo urgente richiamo gli uomini validi del paese in men che non si dica erano sul piazzalae della chiesa armati di tutto punto, lì passo in rivista e chiese loro il giuramento di fedeltà al paese ed ai suoi ordini e l’ottenne totalmente. Investi un anziano del comando del paese per tutto il tempo della sua assenza. Scelse gli uomini che credette più abili al combattimento in aperta campagna ed alla testa di essi entrò in chiesa seguiti dalle loro spose e mamme, finita la preghiera il sacerdote imparti loro la benidizione in Articulus Mortis, si accomiatarono e partirono lasciando le loro famiglie e tutto il paese in lutto. Verso la sera sfinito dalla fatica arrivò un combattenti in veste di messaggero con la buona notizia che la banda sorpresa dagli uomini di Montefegatesi che con un fulmineo assalto avevano portato scompiglio in essa che s’era data a precipitosa fuga, senza la minima resistenza. Ciò che era incomprensibile come avesse fatto a dileguarsi senza che nessuno avesse visto da quale parte erano fuggiti. Gli uomini di Montefegatesi sani e salvi erano entrati in Limano accolti trionfalmente. Dopo un colloquio con i maggiorenti del paese di Limano e il Comandante di Montefegatesi fu riconosciuto il che il pericolo imminete è cessato, ma in previsione che la notte la banda tentasse un nuovo assalto di sorpresa, il Comandate di Montefegatesi si assunse l’incarico di fare buona guardia nei dintorni del paese di Limano fino a metà della notte che erano le ore più pericolose , per poi tornare a Montefegatesi in famiglia a festeggiare la Pasqua. Il popolo quando fu a conoscenza di queste confortanti notizie si rassenerò e si dette a fare i preparativi per accogliere i combattenti come meritavano.

    La giornata volgeva alla fine ed il comandate provvisorio del paese fece sapere , che con delle bande in giro non era prudenza pernottare fuori dalla cinta muraria del villaggio, anche perchè il capitano era assente e con lui c’era la vera difesa del paese.

    Appena calata la notte le porte per entrare ed uscire in paese furono chiuse e ciascuno se ne andò a riposare pensando agli uomini che erano sulla via del ritorno, sani, salvi, vittoriosi.

    Nessuno avrebbe potuto immaginare che la banda messa in fuga a Limano si fosse accorta che i nuovi combattenti erano gli uomini di Montefegatesi e con una marcia forzata, senza essere visti per vie solitarie e sicure fossero arrivati nei pressi del paese di Montefegatesi e ben nascosti avessero spiato ogni movimento degli abitanti del paese che fra l’altro avevano abbandonato le case fuori delle mura.

    Nel cuore della notte la banda con calma si dette al saccheggio delle case provvisoriamente disabitate: presero farina di neccio,cacio stagionato, biancheria varia , un bariletto di vino nostrano e un branchetto di pecore. Paghi del pingue bottino presero la via di Gaio per tornare nei loro paesi.

    Come si furono allontanati dalle case tanto assai che non si sentiva più il rumore dei loro passi, da un nascindiglio di fortuna sbucò fuori un uomo che la sera prima non aveva obbedito agli ordini ricevuti ed era rimasto nella propria casa e arrivato il pericolo della vita ,si era nascosto ed aveva visto tutto,ma, senza potersi muovere, altrimenti se fosse stato visto avrebbe pagato con la vita. Si accertò che nessuono fosse più sul posto e staccò la corsa per andare ad incontrare gli uomini che secondo le previsioni , dovevano essere sulla strada del ritorno; aiutato dalla fortuna l’incontrò al Cassero ed in poche parole li aggiornò di quanto era successo incitandoli alla vendetta. Il Capitano lo ascoltò attentamente ,riflettè qualche secondo,poi disse- Avanti miei fedeli e valorosi uomini,bisogna raggiungerli, ci riposeremo dopo!.- E a corsa partirono per la via della foce della calda per inoltrarsi in Gaio.

    I Longombardi convinti che fino al giorno nessuno si accorgesse della loro scorreria , stanchi e affamati si fermarono per riprendere fiato, l’aria fresca della notte li consiglio ad accendere il fuoco; tanto il tempo c’era. Alla vista della brace gli venne in mente di far tacere lo stomaco con qualche focaccia di neccio e poichè tutto s’era risolto bene, perchè non fare lo spuntino con un pezzetto di carne di pecora arrostito. La macellarono e se la diviserono, l’arrostirono insieme alla focaccia e quando le due pietanze furono pronte aprirono il bariletto del vino e si misero in cerchio intorno al fuoco a mangiare, alla fine della colazione era finito anche il vino. Sazi e dissetati, non pensarono più che veniva anche il giorno, si sdraiarono e senza nemmeno accorgersene si addormentarono.

    Il Capitano ed i suoi uomini guidati dall’odore della carne bruciacchiata arrivarono sul posto dove i Lombardi bivaccavano sognando la vittoria per la loro audacia.

    Il rumore dei passi dell’inseguitori li destò e nel vedersi accerchiati dagli uomini che precedentemente li avevano messi in fuga a Limano, non volevano credere ai propri occhi e non avendo altra via d’uscita tentarono di rompere l’accerchiamento ma tutto fu inutile, tutti caddero trafitti e la loro resistenza e la ricerca di un varco per fuggire eccitò ancora di più la collera dei vincitori che si vendicarono infierendo sui loro resti mortali asportandone il cuore e attaccandolo ai rami dei castagni.

    Nella tarda mattinata il popolo del paese li vide arrivare per una via insolita e subito raccontare l’esito finale della cacciata dei Lombardi(abbreviato, dicono per convenienza), citando i trofei che avevano lasciato appesi agli alberi . Non parlarono delle loro fatiche. Il sudore rappreso sui loro volti e le macchie di sangue sui loro abiti fu la migliore loro parola.

    Da quel giorno il luogo dove avvenne l’eccidio dei Longobardi si chiamò CUOR DI LOMBARDO e per comodità fu trasformato in Col di Lombardo.

    Testo tratto da ” Salutato dai venti” storie raccontate da Anchise Bartoli… scritto da Enzo Lanini

     

    LE STREGHE DI PRATO FIORITO

    Una delle cime più suggestive del nostro Appennino è il Prato Fiorito. E’ una montagna rotondeggiante, calva, interrotta sul versante orientale da un brusco e vertiginoso precipizio. Nel mese di maggio vi fioriscono moltissime specie di fiori; si dice addirittura che quando il poeta inglese Percy Bysshe Shelley vi salì, svenne per l’intenso profumo di fiori che il vento, accarezzando la vetta del monte, spargeva nell’aria.
    I vecchi raccontano che questo spontaneo giardino botanico sia stato risparmiato dalle acque del diluvio universale, proprio per conservare le preziose specie della zona. Ma la fama del Prato Fiorito risiede nelle terrificanti presenze di Streghe e Diavoli che sembra popolino la vetta nelle sere tempestose. Pare che anticamente nei pressi della cima, sorgesse un monastero che poi venne distrutto per ragioni inspiegate. Proprio tra le rovine(non più visibili) di quell’antico monastero v’è una buca profonda ,dalle quali molti passanti hanno sentito provenire urla strazianti e gemiti lugubri che nelle notti ventose si mescolano con i sibili del vento. Da questa voragine si ritiene che streghe, diavoli, spiriti e folletti accorrano al suono trombe e tamburi, mentre intorno a loro appaiano e scompaiano castelli fantastici. I loro canti e i loro balli si confondono con lo stridore del tuono, le strazianti urla del vento e l’accecante schianto della folgore. E sempre parlando di creature fantastiche e misteriose si narra che in quella zona, un tempo, non era difficile incontrare un essere strano e bizzarro che la gente chiamava L’Eremita. Si pensa che abitasse vicino alla chiesetta di Sant’Anna, sotto il Prato Fiorito, a metà strada fra i Monti di Villa e Montefegatesi. Lo si poteva incontrare nei luoghi più solitari e selvatici, intento a procurarsi erbe amare, bacche, o qualunque cosa la natura gli concedesse per nutrirsi. Ma la gente lo evitava perchè sapeva bene quali fossero le sue abitudini. Lo strano eremita era solito giocare scherzi di cattivo gusto alle spalle di contadini e carbonai; come, ad esempio, indossare di notte una lunga cappa bianca e terrorizzare i passanti con tremendi ululati. In particolare ce l’aveva con un gruppo di carbonai che trascorrevano lunghe notti nel bosco e li spaventava con ogni specie di scherzo. Una note gli scaltri boscaioli si procuravano una decina di grosse zucche che svuotarono accuratamente, e che intagliarono in modo da farle sembrare i volti di spavenosi demoni. Poi vi inserirono delle candele accese e le sistemarono intorno alla carbonaia nella speranza che l’eremita, quella notte , facesse loro la consueta visita. Infatti, poco dopo la mezzanotte, i boscaioli poterono sentire l’eremita burlone avvicinarsi alla capanna e fermarsi spaventato di fronte a quei volti mostruosi dagli occhi fiammeggianti e dalle bocche sdentate e spalancate come tanti forni incandescenti. Da quella notte, l’eremita non si è più visto nei dintorni e la gente afferma che si sia veramente messo a fare il santo come si deve. Le numerose croci di faggio che furono viste, proprio lunghi dove era solito fare scherzi, pare sia opera e prova concreta della sua conversione